Attraversando il “Bardo” di Daniele De Stefano: persistenze e riattualizzazioni del magismo nello spazio e nel tempo post-rurale.

18.06.2022

Un uomo in punto di morte sperimenta un estremo e visionario viaggio attraverso il tempo, il momento che apre la sua definitiva uscita dalla storia lo proietta in una dimensione fluida, acronica, sacra (separata). Il cortometraggio Bardo (durata: 9 min.; produzione: Lucania Film Festival e Associazione Allelammie) di Daniele De Stefano esplora l'instabile regno di tale dimensione percettiva disvelando, a partire dalle suggestioni del maestro Luigi Di Gianni (1926-2019), le persistenze del magismo di matrice contadina in un tempo che ha ormai lasciato alle sue spalle la civiltà rurale, nel caso specifico quella Lucana.

In un istante sono separati,

in un istante, completa illuminazione.

[Il libro tibetano dei morti, Ubaldini Editore, 1977, p. 84]

Secondo alcune concezioni legate al buddismo tibetano, il bardo (in sanscrito: antarabhva) è la condizione intermedia e di transizione tra la morte dell'individuo e la sua reincarnazione; nel Bardo Todrol (o Todol) Chenmo (La grande liberazione attraverso l'udire nel bardo), testo noto in Occidente con il nome di Libro tibetano dei morti, vengono descritte le varie fasi dell'itinerario che l'anima, ancora cosciente, percorre in seguito alla morte. Il testo viene recitato presso il corpo dei moribondi o dei defunti e ne accompagna il tragitto nel bardo. Quando a metà degli anni '50 del Novecento l'antropologo Ernesto de Martino guidò le spedizioni in Lucania per lo studio del lamento funebre e del culto dei morti (sei spedizioni tra il settembre 1953 e l'agosto 1956), si ritrovò al cospetto di un mondo culturale in cui alcune donne erano specializzate nel lamento funebre rituale - che accompagnavano a una gestualità canonica - per permettere il trapasso dell'anima del defunto senza lasciarne dei "brandelli" ancorati alla storia. Le lamentatrici (o prefiche), che rappresentano un elemento culturale centrale del rapporto tra morti e vivi in tutto il mediterraneo fin dall'antichità, riproducevano un meccanismo molto simile a quello di quanti in Tibet erano addetti alla recitazione del Bardo Todrol Chenmo al cospetto dei defunti. Non esclusivamente per il loro ruolo di alleate e di aiutanti dell'anima del defunto, ma anche e soprattutto per la convinzione dell'esistenza di uno spazio liminale, di transito, appunto il bardo. Daniele De Stefano per raccontare la sua Lucania magica traccia, fissandolo nel titolo del suo lavoro, un parallelismo carico di suggestioni ricche di implicazioni. L'esperienza extra-storica innescata in limine mortis viene raccontata attraverso l'occhio mentale del morituro che, assumendo delle capacità percettive del tutto contigue a quelle legate alle pratiche sciamaniche, riesce a connettere momenti storici diversificati all'interno di uno spazio collocato al di fuori della storia: la dimensione del suo personale bardo. La sapiente opera di costruzione di Daniele De Stefano riesce ad intessere, grazie all'intreccio con spezzoni di filmati del maestro Luigi Di Gianni (Magia Lucana, 1958, con consulenza scientifica di Ernesto de Martino; L'Apparizione, 1968), un mosaico di frammenti cronologici differenziati in un'unica linea narrativa. Si tratta del racconto, tutt'altro che didascalico, di un'esperienza di illuminazione più che di un'esperienza allucinatoria: in un istante, completa illuminazione.

L'itinerario del Bardo di De Stefano ha il merito di mettere in evidenza due elementi strettamente correlati: l'attualità della riflessione demartiniana e la necessità di riattualizzarne l'utilizzo nel presente. Nel viaggio sciamanico del Bardo le paure dei contadini del secolo scorso - che scacciavano le tempeste attraverso i rituali - sono simmetriche a quelle innescate dalle spinte populiste e razziste che indicano nei migranti la negatività da allontanare; i sistemi culturali tradizionali collettivi di elaborazione del lutto si specchiano nella odierna e lancinante solitudine che ingurgita un dolore addomesticabile solo attraverso gli psicofarmaci; la religione, la vocazione e la spasmodica corsa al denaro fondano nuove forme di sincretismo. Nel Bardo di De Stefano è possibile udire (e osservare) dal vivo, attraverso l'occhio del morto, l'immagine in movimento di un Meridione post-rurale in cui il declino della civiltà contadina ha spalancato le porte della storia a una dimensione incerta nella quale alle contraddizioni del passato si sono aggiunte quelle del presente. In tale contesto il fallimento di una modernità fatta di scarsa o inesistente industrializzazione, di nuova emigrazione, di promesse disattese e del costante ruolo subalterno del Meridione, ha prodotto persistenze e trasformazioni nel campo delle credenze di matrice contadina. Tra queste il rapporto con la morte è in molti contesti ancora un elemento centrale dell'esperienza esistenziale degli individui. Sotto questo punto di vista Daniele De Stefano riprende il filo del discorso lì dove il demartinismo - e non de Martino - si era cristallizzato in schemi oramai collocati del tutto nel campo dell'antropologia storica. Il Bardo è invece vivo perché nel corso delle sue escursioni fuori dal tempo mantiene ben saldo nel presente il suo punto di osservazione. Il linguaggio dell'opera è ispirato dalla cifra stilistica visiva del maestro Luigi Di Gianni, in cui la realtà documentaristica veniva raffinata con fervido surrealismo, estraendo da momenti di vita quotidiana distillati di un livello estetico al limite tra l'inquietudine e il fantastico. Tali relazioni restituiscono al Bardo le coordinate per delineare la riattualizzazione delle credenze magiche, dei rituali legati alle fasi di passaggio, dei meccanismi utili al superamento delle congiunture critiche individuali e collettive, delle nuove strade che vengono percorse per riaffermare sé stessi nel mondo e nella storia. Nelle battute finali della prefazione a Morte e pianto rituale (1958), Ernesto de Martino scriveva:

Ci sia infine consentito di ringraziare qui pubblicamente - e non importa se questo ringraziamento non raggiungerà coloro a cui è destinato - tutte le contadine lucane che di buon grado ci fornirono le informazioni richieste, piegandosi alla ingrata fatica di rinnovare davanti ad altri, nella forma del rito, il cordoglio per i loro morti: strumenti, esse, di una scienza che non intendevano, e per la quale tuttavia pagavano senza saperlo un umile tributo di dolore. Per queste povere donne che vivono negli squallidi villaggi disseminati tra il Bràdano e il Sinni, non sapremmo disgiungere il nostro ringraziamento dal caloroso augurio che, se non esse, almeno le loro figlie o le loro nipoti perdano il nefasto privilegio di essere ancora in qualche cosa un documento per gli storici della vita religiosa del mondo antico, e si elevino a quella più alta disciplina del pianto che forma parte non del tutto irrilevante della emancipazione economica, sociale, politica e culturale del nostro Mezzogiorno.

[E. de Martino, Morte e pianto rituale, Einaudi, 1958, p. IX]

Daniele De Stefano, oltre a ripercorrere i sentieri tracciati da de Martino e Di Gianni a metà Novecento, è soprattutto uno dei nipoti di quelle contadine. Nel Bardo la tensione verso l'emancipazione economica, sociale, politica e culturale non viene ritratta dall'alto del punto di vista costruito da una spedizione etnografica ma dirompe dall'interno, dal cuore più profondo del contesto post-rurale Meridionale. È un grido di speranza che evoca una reincarnazione negli occhi delle generazioni future affinché sappiano dirigere lo sguardo verso il cambiamento.

Massimiliano Palmesano

Le immagini sono estrapolate da Bardo


Scheda film: 

Film: 35mm/colore/9 min.

Film di: G. Daniele De Stefano

Prodotto da: Lucania Film Festival e Associazione Allelammie

Soggetto regia e fotografia: G. Daniele De Stefano

Assistente regia: Vincenzo D'Onofrio
Assistente camera: Gabriel Lufrano

Gaffer: Flavio Russo
Scenografo: Cosimo Viggiani
Montaggio e sonorizzazione: G. Daniele De Stefano

Con la partecipazione di: Graziano Bellezza, Maria Cisterna, Ciro D'Amico, Carmine Pisapia, Luigi Vitelli, Daniela Castronuovo, Mario Petracca 


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