La 'Ndocciata, il più grande rito al mondo che celebra il mistero del fuoco

12.12.2019

Ogni anno ad Agnone, in Molise, l'8 e i 24 dicembre si rinnova il più grande e uno dei più antichi riti al mondo che celebrano il mistero del fuoco e la vittoria della luce nel periodo del solstizio d'inverno: la 'Ndocciata. Il rito consiste in un corteo a cui partecipano migliaia di grosse fiaccole, le 'ndoccie, realizzate con legno di abete bianco dei boschi circostanti, un rito rurale antichissimo legato al passaggio dalle tenebre alla luce. Un sole stupendo, tipico di questo periodo dell'anno, ci accompagna fino ad Agnone attraverso montagne millenarie e valli solcate da rapidi fiumi cui sono legati miti e leggende, superiamo gli antichi boschi della riserva naturale di Collemeluccio e intravediamo all'orizzonte il paese adagiato sopra la cresta di una montagna.

Il centro brulica di gente proveniente da ogni dove sin dalle prime ore del pomeriggio, gli abitanti di Agnone sono tutti impegnati ed emozionati per quello che è il rito del fuoco più grande del mondo e gli agnonesi da secoli hanno con il fuoco un rapporto speciale non solo per il rito della 'Ndocciata, ma anche perché il nome del piccolo centro molisano è legato da secoli alla produzione delle campane: il fuoco delle 'ndoccie e il fuoco delle fornaci che fondono i metalli. Il fuoco nel suo più profondo valore simbolico viene celebrato in quanto luce, ma anche in quanto potere trasformativo, mezzo di metamorfosi, mito della creazione. La fiamma sprigionata dal legno assume nelle comunità contadine e pastorali significati ambivalenti, incute rispetto e reverenza, ma soprattutto ristora, migliora la vita, illumina le tenebre, fonde i metalli trasformando l'uomo in artefice, queste connotazioni simboliche in epoche arcaiche assumevano valenze magico-religiose che sopravvivono anche all'interno della 'Ndocciata seppur chiaramente il rito arcaico in questo caso si è sincretizzato con le celebrazioni del natale cristiano divenendone parte, come accaduto per la tradizione dei fuochi solstiziali in tanti luoghi d'Europa.

Agnone è un borgo di roccia costruito sulle rocce, una lunga strada ne attraversa il centro storico su cui domina la bellissima chiesa di Sant'Emidio, e tra i negozietti spuntano ovunque campane e oggetti in rame e altre leghe metalliche frutto della sapienza degli artigiani locali, e mentre i vicoli continuano a riempirsi di persone e la luce del sole lascia il posto alle tenebre, si accende la magica atmosfera della 'Ndocciata. Il rito viene aperto da un gruppo di suonatori di zampogna che percorrono a ritroso il tragitto del rituale dalla fine a quello che sarà il punto di inizio e, perso nelle nenie ipnotiche delle ciaramelle e delle zampogne, mi accorgo che non c'è più un un lembo di spazio libero, la folla è enorme, straborda accalcata alle transenne che delimitano lo spazio destinato alla celebrazione, alla fine si conteranno più di ventimila persone in questa edizione dell'8 dicembre. Gli zampognari, altro elemento tipico e arcaico dell'universo culturale pastorale, terminano il loro giro nello spiazzale all'inizio del corso di Agnone, qui ad attenderli c'è un gruppo di persone vestite in abiti tradizionali, pastori, contadini, vaticali, aprono le porte del rito spostando indietro di anni le lancette degli orologi. E' a questo punto che quella che avevo percepito come l'atmosfera di una bella tradizione popolare natalizia all'improvviso ha assunto una vibrazione diversa, potente e ancestrale, è come se tutte quelle persone, figuranti, portatori di 'ndoccie e spettatori si fossero trasformati, il potere magico della 'Ndocciata ci ha rapiti da un momento all'altro senza farcene accorgere. Ci siamo trasformati, ventimila e più persone sono state rapite da una energia antica e fortissima, l'emozione si toccava con mano ed è difficile da spiegare a parole.

Sullo spiazzale ci sono migliaia di ndoccie in attesa di essere accese, ce ne sono di singole e di composite, dei grossi ventagli a raggiera che arrivano a contenere fino a 18 torce. Tutti attendono l'inizio del rito, si aspetta e i minuti sembrano ore, la gente reclama l'accensione delle fiaccole, il rito popolare che rinnova il mito ancestrale della vittoria della luce e del mistero del fuoco è già in atto, non serve aspettare l'accensione delle fiaccole: sono loro, i pronipoti dei contadini, dei pastori, degli artigiani delle fucine siderurgiche, dei guerrieri della nazione sannita che qui aveva il suo cuore, a gridare e a implorare la luce dopo i mesi di buio, la ritualizzazione di un mito antichissimo; sono gli uomini con le loro opere e con i loro fuochi ad aiutare il sole a risalire alto all'orizzonte, sono loro i guerrieri che lo aiuteranno a vincere in eterno la battaglia contro le tenebre. La 'Ndocciata affonda con tutta probabilità le sue radici nelle antiche migrazioni rituali del popolo Sannita, come quelle legate al Ver Sacrum, la Primavera Sacra di cui la transumanza resta un'eco sbiadita o comunque in celebrazioni arcaiche legate al solstizio e al ciclo delle stagioni.

Mentre la folla acclama, un gesto di uno dei portatori nelle prime fila fa ritornare il silenzio: stanno per essere accese le 'ndoccie. A questo punto il rito si palesa in tutta la sua valenza simbolica e arcaica, i portatori sono solo uomini vestiti di nero, portano sulle spalle un attributo uranico e maschile senza pari, il fuoco; aprono il corteo bambini molto giovani con sulle spalle una sola ndoccia, seguono man mano ragazzi più grandi con due o tre ndoccie, fino ad arrivare ai portatori più anziani che riescono a portare ventagli composti anche da circa 20 torce. Il valore simbolico è palese, non servirebbe nemmeno spiegarlo, ma questa modalità del rito allude al moltiplicarsi della luce, i ventagli di torce rappresentano il sole nascente all'orizzonte nel periodo del solstizio, i primi a spuntare sono giovani, soli e timidi, ma a poco a poco la potenza della luce aumenta e con essa le raggiere fiammeggianti delle 'ndoccie. Quando si arriva alle torce più grandi, ormai le prime hanno già occupato quasi tutto il lunghissimo corso ed è a questo punto che mi perdo completamente. 

Sono li concentrato a scattare foto correndo dietro ai portatori dentro una pioggia di scintille, mi giro con lo sguardo ad osservare tutto il luminoso corteo di fiaccole, sono quasi al centro e solo ora mi rendo conto di quante siano le fiaccole e di quanta luce producano. Dimentico quasi cosa sto facendo, la scena sembra ora andare a rallentatore, i passi dei portatori cadono lentissimi a terra sotto il peso delle 'ndoccie, ogni passo una pioggia di scintille incandescenti si va a posare sulla strada che è diventata un tappeto di vividi fiori di fuoco rosso, il fumo avvolge tutto e le grida che incitano i portatori a proseguire sembrano lontanissime, resto imbambolato al centro della strada, non so spiegare ma è una sensazione di piacere, all'improvviso ho dimenticato il freddo tagliente, il buio, il dolore e in uno sguardo dato velocemente alla folla ho percepito che la sensazione che stavo vivendo non era personale, mi trovavo nel bel mezzo della magia di un rito antichissimo all'apice del suo potere emozionale. Mi sono risvegliato giusto in tempo per non essere travolto dalle fiamme di una grossa 'ndoccia e ho continuato a seguire il corteo che veloce si dirigeva verso la piazza per la conclusione. Più crescevano le lingue di fuoco sulle spalle dei portatori più la folla acclamava e incitava la luce a trionfare sulle tenebre e il sole a rinascere, al passaggio dell'ultima gigantesca 'ndoccia, si sono aperte le transenne e la folla ha invaso la strada correndo in mezzo a quel fiume di fuoco per raggiungere la piazza. Qui tutte le 'ndoccie del corteo hanno formato quello che viene chiamato il Grande Fuoco della Fratellanza, un falò enorme che sprigiona nel cielo notturno una fiamma altissima; giunti a questo punto del rito il clamore e la gioia hanno lasciato spazio a un silenzio quasi irreale, è questo il momento in cui si bruciano simbolicamente nel fuoco tutte le negatività dell'anno appena trascorso e si confida nel trionfo della luce del sole per l'anno alle porte. 

Solo davanti a questo grande fuoco sono ritornato con la mente e con il corpo nella nostra era, rigenerato e ricaricato dalle calde e alte fiamme delle 'ndoccie. Frazer ne "Il Ramo d'Oro" parla dei fuochi di mezz'inverno come di una pratica comune a tutte le antiche popolazioni europee connessi simbolicamente con quelli speculari di mezz'estate a formare delle porte che regolano l'eterno ritorno del ciclo dell'anno:

"Fin dalla notte dei tempi, in certi giorni dell'anno i contadini di tutta Europa usavano accendere dei falò, per poi danzarci intorno o saltarci sopra. Fonti storiche riferiscono la presenza di queste usanze anche nel medioevo; e la loro analogia con quelle dell'antichità è una dimostrazione intrinseca del fatto che, per rintracciarne le origini, occorre risalire a epoche di gran lunga anteriori alla diffusione del cristianesimo"

Che sia una antica festa agreste o una festività cristiana, un rito del fuoco sannitico o un cippo di Natale come quelli che vengono bruciati in tutta Italia, resta sullo sfondo di questo bellissimo e magico rito il primordiale bisogno dell'uomo di esorcizzare l'ignoto che si nasconde dietro le tenebre e di compartecipare simbolicamente ed emotivamente, attraverso il peso dei raggi solari rappresentati dalle 'ndoccie sulle spalle dei portatori, al rinnovarsi ciclico della natura e del grande mistero del fuoco.

Massimiliano Palmesano

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