Centrification: la medina come argine alla gentrification nell'area mediterranea

30.03.2020
Medina di Rabat
Medina di Rabat

All'interno del vasto spettro di traiettorie di ricerca che si sono dischiuse grazie alla suggestione del "Postmodern Gran Tour"[1], si è aperta una considerazione sulle forme di gentrification e di riorganizzazione urbanistica e sociale che stanno investendo numerosi centri metropolitani nell'area mediterranea. Quello che si presenta è un quadro complesso, in cui si palesano prospettive a volte dicotomiche altre volte ibride, degli assetti urbani, che vanno da quella che possiamo definire turbo-gentrification a quelle che possono essere considerate forme di resistenza sociale, economica e culturale alle speculazioni edilizie e turistiche e alla conseguente espulsione delle classi subalterne dai quartieri centrali a tradizione popolare.

Gli effetti dei fenomeni che, già a partire dal 1964, la sociologa inglese Ruth Glass ha introdotto in ambito accademico con il nome di gentrification, sono ben noti e oggetto di numerosi studi, Glass "identificò la gentrification in un processo complesso, o un insieme di processi, che comporta il miglioramento fisico del patrimonio immobiliare, il cambiamento della gestione abitativa da affitto a proprietà, l'ascesa dei prezzi e l'allontanamento o sostituzione della popolazione operaia (o in ogni caso formata da strati sociali subalterni ndr) esistente da parte delle classi medie."[2]

Questi cambiamenti si sono verificati in larga parte nei centri storici e nei quartieri centrali delle grandi città con tradizione operaia, o comunque popolare, un po' ovunque nel bacino mediterraneo, da Barcellona a Siviglia, da Parigi a Milano e Roma, fino ad ambiti che, seppur recalcitranti e in qualche modo ostili ai progetti di gentrificazione, alla fine hanno dovuto cedere alle logiche del profitto: in Italia i due esempi più significativi sono con tutta probabilità Napoli e Palermo.

A fianco a questa tendenza che ormai sembra dilagare va registrata pero', sempre nella zona del bacino mediterraneo, anche la presenza di ambiti che si pongono in controtendenza e di forme di organizzazione urbana e sociale che, de facto, si sono poste e si stanno ponendo come un vero e proprio argine ai progetti di destrutturazione selvaggia e di riconversione in nome del profitto di intere aree. E' il caso delle medine delle città arabe della costa nordafricana che per struttura, storia, organizzazione e composizione sociale, possono essere considerate le uniche esperienze che in qualche modo stanno erigendo argini culturali ed economici alla gentrificazione, infatti con le dovute eccezioni, e cioè nonostante la presenza di medine già completamente gentrificate, i centri antichi delle metropoli islamiche del mediterraneo sono diventati un laboratorio dove si stanno sviluppando forme inedite di resistenza alle speculazioni e alla conseguente espulsione degli abitanti storici; non solo, questa che possiamo definire un'attitudine intrinseca della medina sta dimostrando di essere capace di considerevoli sviluppi anche all'esterno dell'area geografica tradizionalmente musulmana, e cioè all'interno di aree urbane europee, in cui si sono verificati o si stanno verificando fenomeni di "medinizzazione" come l'esempio di Marsiglia su cui torneremo.

Fes el Bali
Fes el Bali

La medina o quartiere antico, dall'arabo "madiina" che significa città, è la caratteristica organizzazione urbana e sociale di molti centri del nord Africa e di quelle del bacino mediterraneo che hanno conosciuto in passato la dominazione islamica, come le medine di Al Andalus in Spagna o come la Kalsa di Palermo (che tra l'altro ha vissuto proprio negli ultimi tempi fenomeni di resistenza alla gentrificazione) e la Medina di Malta.

La medina, seppur per molti aspetti perfettamente inserita nei meccanismi economici, sociali e tecnologici contemporanei, si pone anche come esempio di resistenza ai fenomeni di gentrification e di riaffermazione di un tessuto culturale e sociale arcaico all'interno di meccanismi sociali propri mondo contemporaneo.

Nella medina e nella sua kasbah, cioè la parte fortificata della città vecchia, riescono a sopravvivere stili di vita, tradizioni, economie e relazioni sociali che possiamo definire arcaiche ma soprattutto antimoderne, due esempi su tutti possono essere rintracciati nelle forme dell'abitare e nella resistenza del baratto come forma economica viva. Le relazioni sociali che si sviluppano e vivono all'interno della medina, vanno considerate anche esse come espressioni peculiari dell'appartenenza alla cultura e alla tradizione filosofica islamica che di fatto è antimoderna; infatti dal punto di vista filosofico, l'Islam è religione e mondo (din wa dunya), per alcuni addirittura religione e stato (din wa dawla), e, come già affermato più di mille anni fa dal grande teologo al-Ghazali, per il musulmano, gli aspetti esteriori e interiori della realtà umana si corrispondono e si rifrangono reciprocamente. Ne consegue che il concetto di "din" non è sovrapponibile e traducibile in tutto e per tutto con la concezione occidentale, e cristiana, di religione, bensì l'islam può e viene considerato come una vera e propria ideologia nel senso positivo del termine e cioè come filosofia e concezione globale della realtà e, in quanto tale, anche azione e progettazione sociale e per questo capace di pervadere l'ambito della vita umana indirizzandola nel quotidiano.

E' in base a queste considerazioni che si pone il nodo dell'attitudine e delle forme antimoderne che la cultura islamica incarna: per poter essere pienamente una ideologia positiva, l'Islam dovrebbe appropriarsi della storicità. Come invece sottolinea Massimo Campanini, uno dei maggiori orientalisti italiani, la gran parte della cultura islamica classica, soprattutto i pensatori hanbaliti da Ibn Hanbal fino a Ibn Batta e Ibn Taymiyya, e una parte consistente di quella contemporanea, i cosiddetti musulmani radicali come Sayyid Qutb e al-Mawdudi, "hanno abbracciato, invece, una concezione anti-utopica della storia" ovvero "l'inclinazione a considerare il passato, segnatamente l'epoca di Muhammad e dei primi califfi, come un'età dell'oro insuperabile e irripetibile in cui la saldatura tra religione e politica, etica e comunità ha consentito di realizzare la società islamica perfetta. Siffatta età dell'oro dev'essere sempre imitata e, possibilmente, ripetuta, anche a prezzo di sacrificare l'innovazione e la modernizzazione."[3]

Ne consegue che questa inclinazione ideologica si rifletta anche nell'organizzazione urbanistica delle aree metropolitane, la medina infatti è antimoderna nonostante al suo interno sappiano convivere e trovino piena cittadinanza elementi della modernità: dagli smartphone, ai bancomat, agli internet point; non riesce a porsi (o forse semplicemente non vuole porsi) completamente e acriticamente fuori dalla modernità, ma è capace di innestare in essa meccanismi e consuetudini antiche restituendogli pieno diritto di esistenza.

Certo non ci troviamo di fronte a un dato solido, non è un caso che già nel 2003 Anton Escher e Sandra Petermann, su "Raum und ort", parlavano di "gentrification turistique" della medina e cioè di gentrificazione turistica, fenomeno che oggi conosce dimensioni rilevanti un po' ovunque nel mondo islamico mediterraneo, la maggior parte dei "riad, le abitazioni urbane più tradizionali in Marocco, è nelle mani di francesi, tedeschi, italiani e altri europei, i quali li usano per lo più come dimore secondarie o temporanee; alcuni anche per farne ristoranti e bed and breakfast, che poi eventualmente rivenderanno per una somma di gran lunga superiore a quella investita. Un'altra tendenza [...] è quella della moltiplicazione di piccole trattorie europee presentate come tipiche, anche di alcuni ristorantini slowfood, biologici o vegetariani, anch'essi aperti per iniziativa di europei di varie nazionalità"[4]

Artigiano berbero nella medina di Meknes
Artigiano berbero nella medina di Meknes

Risulta chiaro che la medina non va considerata come una forma di organizzazione urbana e sociale cristallizzata e ferma in un passato ideale, va piuttosto specificato che esiste un'ampia forbice di possibilità e di situazioni che si sono venute a creare all'interno del bacino mediterraneo, tutte però caratterizzate da livelli diversi di indisponibilità a subire passivamente i piani di dominio e riassetto sociale, e dalla capacita di porre in essere meccanismi di resistenza ai fenomeni di gentrificazione propriamente detti, come quelli avvenuti sulla sponda europea.

Quelle che infatti possono essere considerate in tutto e per tutto "medine gentrificate", nell'accezione europea del termine, sono ad oggi poche (forse in futuro potranno verificarsi inversioni di tendenza) tra cui i casi più rilevanti sono rappresentati da Marrakesh, con tutta probabilità al momento la più gentrificata ed "europea", Beirut, in cui gli affitti in alcune zone un tempo popolari possono arrivare a 600 euro al mese, Tunisi e poche altre.

Il Marocco sotto questo punto di vista si pone come un laboratorio capace di offrire una gamma composita di casi ed esempi; oltre alla già citata Marrakesh, è possibile trovare centri minori, e per certi aspetti più tradizionali, quali Meknes nella cui medina (a dire il vero non eccessivamente turistificata) resistono ampie sacche di povertà, soprattutto formate da berberi, che ancora oggi sono impegnati nell'antica arte della lavorazione del metallo damascato: lo slum berbero di Meknes vive e si riproduce secondo regole e ritmi atavici e quasi del tutto non intaccati dalla modernità, qui della "gentrification turistique" non c'è quasi traccia.

Discorso simile può essere fatto per Chefchaouen, che seppur di dimensioni minori e ancora più tradizionale, conosce ormai da anni una turistificazione selvaggia. Anche qui la medina, intesa non solo come trama urbanistica ma anche come tessuto biotico che la abita, dimostra chiari segni di indisponibilità e di "conservazione" di fronte ai fenomeni di gentrification che sono comunque evidenti: si può affermare che Chaouen viva a cavallo tra una dimensione antica e fiabesca da "le mille e una notte", con i montaneiros che producono e propongono hashish a ogni angolo e i suonatori amazhig, e forme di modernizzazione turistica con la presenza di hotel europei e cinesi e guide turistiche di ogni nazionalità. Anche qui però, nonostante il flusso economico indotto dal turismo sia di ingenti proporzioni, la medina resta al centro e non si lascia trasformare.

Ma il caso che con tutta probabilità mette meglio a nudo questi meccanismi di resistenza alla gentrification è quello emblematico di Fes el Bali, la città vecchia di Fes, la medina piu' grande del mondo. Qui si concentrano gran parte dei quasi 2 milioni di abitanti della città e, sia dal punto di vista urbanistico che umano, l'antica medina, seppur investita da tutto il corollario turistico fatto di bnb, ristoranti, negozi di souvenir e artigianato, conserva intatto il suo spirito antico con le sue centinaia di moschee, le consuetudini umane degli sterminati quartieri popolari dove le persone vivono arrampicate le une sulle altre in case piccolissime, le strade di terra battuta, gli asini usati come taxi nei vicoletti strettissimi, il lavoro massacrante e anch'esso arcaico delle concerie di pelle. Fes el Bali è una città di mille anni fa incastonata al centro di una metropoli islamica moderna.

Tangeri
Tangeri

Questa indisponibilità in ogni caso non è ravvisabile esclusivamente nei centri dove lo spirito culturale tradizionale è più vivo e dove quindi questo riesce ad esprimere anche nel tessuto urbano l'essenza a-moderna dell'ideologia islamica, basti pensare agli esempi che offrono due centri che, seppur per motivi diversi, possono essere considerati a tutti gli effetti delle metropoli moderne: Rabat e Tangeri.

La prima, pur essendo la capitale politica del Marocco e pur registrando la presenza di hotel e alberghi extralusso, ristoranti pluristellati in location spettacolari sul Bou Regreb, quartieri "europei" con villette per politici, addetti alla macchina statale e delegazioni diplomatiche, conserva intatta la sua medina e la vicina kasbah degli Oudaia, dove un foltissimo tessuto sociale popolare abita case antiche che si affacciano su vicoli di terra battuta dove si riproduce un continuo formicolio di venditori ambulanti, mendicanti e botteghe tradizionali il cui ritmo è invariato da secoli: oltre le mura la metropoli caotica e ultramoderna, all'interno delle mura la città medievale viva e pulsante.

Anche in una città come Tangeri, che di certo non può essere considerata tradizionale come Meknes, Chaouen e Fes, possiamo notare gli stessi meccanismi. Anche a Tangeri, nonostante sia da secoli una delle città più europeizzate del nord Africa, con il suo porto che rappresenta la porta dell'Europa per migliaia di africani, la medina e la sua kasbah sono capaci di restituire a chi le attraversa l'idea di meccanismi antichi e propri della cultura delle classi subalterne.

Sulla base di questa analisi, seppur di superficie, è possibile dedurre degli elementi condivisi relativi alle forme di resistenza alla gentrificazione, considerata secondo il punto di vista europeo o in ogni caso occidentale, che si sono sviluppate e che agiscono all'interno del tessuto urbano e sociale di queste città. In esse le classi sociali popolari non hanno ceduto il passo e non si sono fatte espellere per lasciare spazio incontrastato ai flussi economici nazionali e transnazionali di cui di certo non sono scevre. Il tessuto sociale preesistente agli interventi di turistificazione si è immesso e ha agito all'interno di questi flussi con forme e formule diversificate, sia sul piano dell'economia attiva, sia su quello dell'organizzazione sociale dei quartieri.

In un certo senso è possibile affermare che la medina, più che subire la gentrification, ha messo in campo meccanismi che possiamo definire di "centrification", ovvero di centrificazione: la trama urbana e gli strati sociali che la abitano si sono attestati al centro (non solo materialmente), rivendicando il diritto alla (r)esistenza: intorno a questo centro si sono dipanati e sviluppati gli investimenti dei capitali del turismo. Possiamo paragonare questo meccanismo alla struttura che si osserva guardando la sezione di un tronco d'albero: la città vecchia occupa la posizione centrale (quella del midollo) e tutto intorno si sviluppano concentricamente le operazioni speculative i cui movimenti economici si spingono fino alle zone più centrali attraverso meccanismi molto simili a quelli dei vasi linfatici nel tronco: Rabat e Fes, anche dal punto di vista strettamente urbanistico e strutturale esprimono al meglio questa tendenza.

E' possibile parlare in questi casi di centrification e cioè della tendenza di porre al centro delle operazioni speculative, e dei relativi flussi economici, i bisogni e le consuetudini tradizionali della composizione sociale che abita le zone interessate.

Va in ogni caso sottolineato che questi moti di centrification che la medina incarna non sono certo esenti da contraddizioni e ambivalenze del tutto "moderne" come la persistenza di grosse sacche di povertà, sfruttamento, criminalità e, in molti casi, allarmanti condizioni sanitarie.

E' utile ribadire, da un lato, che le forme di centrification non si danno esclusivamente come causa e conseguenza della morfologia urbanistica della medina, ma risiedono nel rapporto tra fattore strutturale e ideologia culturale della composizione sociale che la abita: non basta avere una medina per avere centrificazione; come esempi di mancata centrification è utile analizzare i processi di gentrification selvaggia che hanno investito quelle che erano le vecchie medine di Al Andalus a Siviglia, Cordova e Granata. Qui nonostante la conformazione urbana e la presenza di strati sociali popolari, non sono stati scongiurati, o ibridizzati, gli interventi speculativi, forse proprio a causa della mancanza, all'interno di questi strati sociali, della necessaria tradizione culturale islamica che ha agito altrove. Nei quartieri di queste città infatti i poveri sono stati in larga maggioranza espulsi per lasciare spazio a bnb, hotel e ristoranti.

Tangeri
Tangeri

A conferma del ruolo che evidentemente gioca il sostrato culturale delle comunità interessate nella formazione di fenomeni di centrification, vi è, dall'altro lato, l'innescarsi di meccanismi che possono essere definiti di "medinizzazione", avvenuti come conseguenza del colonialismo o dell'immigrazione, in alcune aree che per storia, cultura e tradizioni sono al di fuori dall'ambito geografico islamico classico, è il caso, finora l'unico indagato, di Marsiglia. Qui i quartieri che sorgono intorno al Porto Vecchio sono stati investiti, da almeno la meta del 900, da un processo di "medinizzazione" grazie alla presenza di una folta comunità algerina, che oltre ad abitare la zona, ha permesso anche che al suo interno si sviluppassero meccanismi sociali e comunitari propri del mondo culturale di appartenenza e cioè di quello islamico, trasformando i vicoli del centro storico in qualcosa di molto simile alle medine della sponda africana del Mediterraneo. Con il tempo queste consuetudini si sono consolidate, alla comunità algerina si sono aggiunti altri nord africani, infine sono arrivati i cinesi e ad oggi non è difficile vedere negozi gestiti da orientali e nordafricani insieme: questa composizione sociale sta sperimentando di fatto forme di resistenza ai progetti di gentrificazione cui e soggetta la zona, forse al momento unico esempio in Europa.

Il caso marsigliese è emblematico sia a conferma del ruolo che svolge l'identità culturale all'interno di questi processi, sia perché il fenomeno si è sviluppato li dove era presente una composizione sociale già ben radicata. Diventa utile a questo punto interrogarsi su quanti altri casi, simili a quello marsigliese, potranno svilupparsi nel prossimo futuro nei vari quartieri delle città europee dove già persistono le condizioni sopra citate, dove cioè diventa sempre più consistente, radicata e storicizzata la presenza di comunità musulmane.

Proprio sullo sviluppo di e sull'interazione tra questi due fattori, e cioè medinizzazione e conseguente centrificazione, si giocheranno forse le sorti di interi quartieri, non solo e non per forza a composizione maggioritaria musulmana, in molte grandi metropoli mediterranee in un futuro ormai vicino.

Massimiliano Palmesano

foto scattate a febbraio 2020

note:

1) https://microsphera.webnode.it/l/postmodern-gran-tour/

2) C. Hamnet in G.Bridge, S. Watson , (2000), "A companion to the city", Malden, MA: Blackwell Publishers.

3) M. Campanini, Il Corano e la sua interpretazione, Laterza, Bari 2020, p 7.

4) A. Rivera, La citta' dei gatti: antropologia animalista di Essaouira", Dedalo 2016, p 43.

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