Kitab al-Mi'raj: ecco come Dante apprese dall'Islam le mappe dell'aldilà!

25.04.2020
Buraq, il destriero celeste
Buraq, il destriero celeste

Tutti conoscono la Divina Commedia di Dante per averla letta a scuola, o per averne approfondito i contenuti per motivi di studio o di semplice curiosità, ma forse in pochi sanno che alcuni elementi, soprattutto di carattere "topografico" e concettuale, del capolavoro del sommo poeta, con tutta probabilità vennero ispirati da un racconto escatologico islamico e cioè il Kitab al-mi'raj (in arabo كتاب المعراج), ossia Il Libro della Scala, nel senso di scalata al cielo, che narra il viaggio notturno dalla Mecca a Gerusalemme (isra), e nei mondi ultraterreni (mi'raj), del profeta Maometto. L'ipotesi, che tra gli studiosi vanta sia accesi sostenitori che acerrimi critici, è motivo di speculazione nel mondo accademico europeo almeno da inizio del '900 e da molto più tempo tema di ricerca di tanti studiosi islamici. In ogni caso è innegabile l'influenza che il mondo musulmano, e in particolar modo il califfato di Al-Andalus in Spagna, abbia esercitato su intere generazioni di intellettuali e filosofi cristiani nell'Europa medievale, soprattutto grazie al lavoro di trasmissione, da parte di eruditi arabi come Averroè e Avicenna, di larga parte del sapere greco antico.

I Libri della scala, sono una serie di racconti escatologici musulmani medievali, fioriti soprattutto nella Spagna islamica, anche se, di questo straordinario viaggio notturno del profeta, non ci sono che poche tracce all'interno del Corano, infatti un riferimento esplicito lo troviamo solo nel primo versetto della XVII Sura, chiamata appunto Al-Isra (il viaggio notturno), che recita:

"Gloria a Colui che di notte trasportò il Suo servo dalla Santa Moschea (al-masjidi al-harami) alla Moschea remota (al-masjidi al-aqsaa) di cui benedicemmo i dintorni, per mostrargli qualcuno dei nostri segni. Egli è Colui che tutto ascolta e tutto osserva"(1) 

Fin qui il racconto coranico del viaggio notturno del profeta dalla Moschea Santa (al-Masjidi al-Harami), che con tutta sicurezza indicherebbe la moschea della Kaaba alla Mecca, fino alla Moschea Remota (al-Masjidi al-Aqsaa), individuata nella Spianata del Tempio a Gerusalemme, dove effettivamente venne edificata la moschea che porta il nome di Al-Aqsaa, anche se, come sottolinea l'orientalista Paolo Branca, alcuni esegeti sauditi contemporanei sostengono che il testo coranico si riferisse a una moschea situata sempre in territorio arabico (2); altri esegeti, inoltre, trovano possibili ulteriori riferimenti al viaggio notturno anche nelle Sure LIII (1,12) e LXXXI (19,25).

Kitab al-mi'raj
Kitab al-mi'raj

Intorno a questo "nocciolo" che si trova nel libro rivelato, nella Spagna musulmana soprattutto, nacquero una serie di racconti sul miracoloso viaggio notturno del profeta nell'aldilà. La tradizione musulmana asserisce che Muhammad ebbe questa esperienza straordinaria durante la permanenza presso la casa della cugina Humm Hani alla Mecca, al suo risveglio raccontò quanto gli era accaduto, ma la vicenda è sempre stata ammantata da un velo di mistero, infatti per quasi due secoli dall'evento, gli studiosi di scienze islamiche si interrogarono se il profeta si riferisse a un'esperienza di tipo mistico e teopatico, oppure ad una teofania e cioè ad un incontro con Dio del tutto reale. L'esegeta coranico persiano Tabari e il più famoso e autorevole tradizionista islamico Bhukari, pensavano che il racconto del viaggio avesse un significato prettamente esoterico e che quindi si sarebbe trattato di una visione (ru'ya) da interpretare, prevalse però l'opinione opposta, che è tutt'ora quella accettata nel mondo islamico, e cioè che il profeta si riferisse a un'esperienza realmente avvenuta.

Il racconto narra che Muhammad fu svegliato in piena notte da Jibril, l'arcangelo Gabriele, che lo scortò durante il viaggio che si divide in due esperienze ben distinte: la prima chiamata "Isra" in cui in una sola notte è trasportato dalla Mecca a Gerusalemme, e la seconda, detta appunto "Mi'raj", in cui il Profeta effettua un vero e proprio viaggio nell'aldilà durante il quale, dopo aver sorvolato il baratro infernale, dove assiste alle pene corporali, fatte di fiamme e castighi fisici, inflitte alle anime dei dannati in funzione dei loro peccati terreni, riesce a raggiungere il Settimo Cielo per assurgere alla contemplazione, la presenza e la grazia di Allah. Proprio questi elementi, quali la struttura a gironi del baratro infernale e la regolamentazione delle pene inflitte ai dannati che ricorda molto da vicino il "contrappasso" dantesco, ci restituiscono delle innegabili similitudini, non solo dal punto di vista topografico, con il capolavoro di Dante; nella Divina Commedia possiamo trovare quindi tantissimi dettagli che erano già stati "raccontati" nelle leggende islamiche medievali, soprattutto spagnole, che parlavano del viaggio nell'aldilà del profeta Muhammad, somiglianze troppo strette per poter essere delle semplici casualità.

Secondo la leggenda, Muhammad effettuò il suo viaggio ultraterreno in groppa a un essere mitico di nome Buraq (in arabo براق‎ "lampo", o secondo altri, tra cui l'orientalista francese Edgard Gabriel Joseph Blochet, il nome deriverebbe dal persiano "barag" che significa destriero), che seppur non è mai menzionato nel Corano, secondo la tradizione islamica si tratta di un destriero mistico che abita i cieli dai quali scende solo per essere cavalcato dai profeti, venne infatti utilizzato anche da Abramo per giungere dalla regione siriana dove risiedeva con la moglie Sara, fino alla Mecca in visita alla sua concubina Hagar (Hajar per i musulmani) e al figlio Ismaele. Buraq è rappresentato con corpo di cavallo, o a volte anche di asino, bianco, alato, con la testa di donna e la coda di pavone, è abilissimo nel realizzare enormi balzi e dal punto di vista simbolico rappresenta il trionfo e la gloria perché è il mezzo attraverso cui viene permesso agli eletti di raggiungere il paradiso (3), infatti per gli eruditi musulmani è "Il primo dei quadrupedi che Dio resusciterà nell'Ultimo Giorno: gli angeli gli poseranno sulla groppa una sella di rubini scintillante. Gli sarà messo in bocca un morso di smeraldo purissimo, e verrà condotto alla tomba del Profeta. Allora Dio resusciterà Maometto, il quale monterà su Buraq e s'innalzerà così nei cieli".(4)

Buraq trasportò in groppa Muhammad attraverso i Sette Cieli, dove in ognuno di essi a presiederlo, c'era un profeta che lo aveva preceduto, tra cui Gesù (Issa), Idris, Ibrahim, Mosè e Adamo, ogni cielo distava dal successivo 15000 anni. Nel racconto, l'ascesa termina al Settimo Cielo in cui Muhammad viene accolto al cospetto di Dio, alla distanza di "due archi e meno ancora" (fa-kāna qāba qawsayni aw adnà), realizzando, per volere divino, un'impresa impossibile per i mortali e cioè quella di assurgere al cospetto di Dio ancora da vivi: la leggenda a questo punto è caratterizzata da toni poetici e profondamente simbolici come ad esempio nel verso "sidrat al-Muntahà ʿinda-hā jannatu l-Māʾwà" ovvero "il loto di al-Munthahà presso il quale è il giardino di al-Ma'wà", un'espressione chiaramente mistica e dal contenuto esoterico, sulla quale discerneranno a lungo e profondamente non pochi dotti sufi. 

Ci troviamo quindi alla presenza di un altro espediente narrativo comune tra Commedia e Kitab al-mi'raj, e cioè quello dell'incontro tra Dio e un vivente, che Dante utilizza proprio con se stesso come protagonista all'interno della Commedia: a questo punto sembra utile una ulteriore valutazione, di carattere filosofico, che indica una possibile influenza islamica su Alighieri, e cioè quella di Averroè e dell'averroismo, infatti "per secoli i commentatori hanno sostenuto che la Divina Commedia è il pensiero di Tommaso d'Aquino (ovvero la dottrina cattolica super-ortodossa) messa in versi. Poi negli anni '40 un dantista teologo (Bruno Nardi) che era prete (anche se poi ha abbandonato il sacerdozio), pur trovando echi di Tommaso in Dante, ha mostrato come il suo pensiero sia, su questioni sostanziali, diverso e come molte cose siano decisamente neoplatoniche o averroiste. Averroista è soprattutto l'essenza della Divina Commedia, dato che per Tommaso d'Aquino (nonché per tutta la teologia cattolica fino ad oggi) non è possibile «vedere» Dio se non dopo la morte, mentre per Averroè e gli averroisti è possibile arrivare a «vedere» Dio prima della morte. Ora, leggendo la Divina Commedia, si evince inequivocabilmente che Dante arriva a vedere Dio da vivo, ovvero prima della morte. Questo insegnamento è l'essenza della Divina Commedia, il suo significato più vero, più grande, più profondo: si può arrivare a incontrare Dio, a vedere Dio da vivi! Messaggio splendido, meraviglioso, ma è quello che dicevano Averroè e gli averroisti. Non Tommaso, non la Chiesa." (5)

Topografia dantesca e del Mi'raj a confronto nel saggio di Palacios
Topografia dantesca e del Mi'raj a confronto nel saggio di Palacios

Alla luce di tutto ciò non sembra azzardato ipotizzare che Dante abbia appreso dall'Islam le mappe dell'aldilà, sia dal punto di vista "topografico" che concettuale. Tra i primi a parlare chiaramente di questa possibile influenza fu il teologo gesuita e arabista spagnolo Miguel Asin Palacios che nel 1919 pubblicò "La escatología musulmana en la Divina Comedia", in cui l'autore, che tra l'altro aveva già dato alle stampe "Averroísmo teológico en Santo Tomás de Aquino" (1904), ipotizzò che alcune fonti di tradizione sufi, e in particolare la versione del poeta, mistico e filosofo arabo Ibn Arabi (1165-1240) del Kitab al-mi'raj, avessero influenzato e ispirato la struttura "topografico-concettuale" dei gironi infernali e anche la "legge del contrappasso" all'interno del poema dantesco. La tesi di Palacios chiaramente produsse reazioni contrastanti, dalle aspre critiche dei dantisti italiani, che rigettarono molte volte aprioristicamente qualsiasi ipotesi sulla possibile influenza del Kitab al-mi'raj sulla Commedia, a chi invece la ritenne plausibile, se non addirittura certa, pur non intaccando il valore dell'opera di Dante: tra questi soprattutto molti studiosi arabisti, ma l'ipotesi venne accolta anche da una dantista autorevolissima come Maria Corti, che pubblicò un articolo sul Corriere della Sera dal titolo "Dante. Il sommo poeta partorito dall'Islam". Questi commentatori non escludevano che una mente fine e acuta come quella di Dante avesse potuto conoscere l'opera escatologica islamica senza con questo assolutamente sminuire la portata poetica e l'impostazione teologico-filosofica della Commedia. Ma Dante conosceva davvero il Kitab al-mi'raj?

Ibn Arabi
Ibn Arabi

Tra la tesi di Palacios che vede, forse estremizzando un po' troppo, in questa tradizione escatologica musulmana il "prototipo palese e indiscutibile" dell'architettura dell'aldilà dantesco, e chi nega invece che un attento conoscitore del mondo a lui contemporaneo quale era Dante possa essersi fatto suggestionare in qualche modo da queste tradizioni, è possibile individuare una via forse più aderente alla realtà dei fatti, anche questa sostenuta da molti studiosi, sia dantisti come Maria Soresina, sia da arabisti come Paolo Branca. Dante conosceva l'Islam e la sua cultura senza ombra di dubbio, tanto da posizionare Averroè, Avicenna e Saladino nel Limbo e Maometto e Ali nell'Inferno, ma è molto probabile che conoscesse anche il contenuto del Kitab al-mi'raj e ci sono almeno due tracce che possono essere seguite per scoprirlo.

Il contenuto di questa serie di racconti escatologici, si diffuse in modo molto precoce in tutto il mondo musulmano e particolarmente in Al-Andalus, dove non tardò a diffondersi anche tra la comunità dei mozarabi, cioè dei cristiani che vivevano all'interno dei domini islamici, che ne redassero delle traduzioni in idiomi volgari proto-spagnoli, dandogli appunto il nome di Libri della Scala. Nonostante ricchi di elementi mitici e fantastici, i Libri della Scala entrarono a far parte della letteratura religiosa popolare, tanto che tra il 1264 e il 1277, il re Alfonso X di Castiglia e di Leon, detto el Sabio, diede disposizione all'erudito e medico ebreo Abraham Alfaquim ("al-hakim" significa "il medico") di tradurre una delle tante versioni dell'opera in castigliano. Da questa versione, che purtroppo non è giunta fino a noi, un notaio italiano, molto probabilmente esule in Castiglia, Bonaventura da Siena ne ricavò due nuove versioni: una in latino chiamata il "Liber Scalae Machometi", ed una in volgare francese dal titolo "Livre de l'Eschièle Mahomet".

Nel 1949, lo studioso e linguista Errico Cerulli, basandosi su un precedente studio di Ugo Monneret de Villard del 1944, effettuò due lavori di censimento e collazione della tradizione letteraria europea dei Libri della Scala, attestando appunto l'esistenza di una versione in latino, quella approntata da Bonaventura da Siena, che circolava in Italia proprio all'epoca di Dante, tanto da poter ipotizzare quantomeno che il sommo poeta fosse a conoscenza del contenuto dell'opera.

Inoltre non è da sottovalutare che Brunetto Latini, uno dei "maestri" di Dante seppur da lui collocato all'Inferno, effettuò in qualità di rappresentate della repubblica fiorentina, nel 1260, un viaggio in Castiglia, proprio alla corte di Alfonso X che aveva fatto tradurre per la prima volta l'opera dall'arabo al castigliano. Non sarebbe azzardato ipotizzare che Brunetto, al ritorno in Italia abbia potuto portare in Toscana i temi di questo genere letterario già ampiamente diffuso nella penisola iberica e ne abbia potuto raccontare i contenuti a Dante, contenuti di cui parla tra gli altri anche Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo: d'altronde nel XIII secolo tanti eruditi e studiosi europei, compreso Papa Silvestro II, si erano recati a studiare in Spagna dagli arabi. Dante, da attento e curioso osservatore quale era, avrebbe avuto quindi a disposizione più di un canale per conoscere e apprendere il contenuto del Kitab al-mi'raj, tra cui uno molto diretto e cioè quello rappresentato dal maestro Brunetto Latini.

Dante - Domenico di Michelino - Duomo di Firenze
Dante - Domenico di Michelino - Duomo di Firenze

In ogni caso, al di là delle possibili influenze del Kitab al-mi'raj sulla Commedia di Dante, è innegabile il valore che il sommo poeta riconosceva alla scienza e alla cultura islamica, tanto da far comparire nel Limbo in posizione gloriosa "Averrois, che 'l gran comento feo" per essere stato il più grande conoscitore e commentatore dell'opera di Aristotele e, insieme a lui, Avicenna, geniale medico musulmano che utilizzava la musica per curare la pazzia e il cui canone medico è stato utilizzato dai medici europei quasi fino al 1600, e Saladino, che nonostante avesse cacciato i crociati da Gerusalemme, fu indicato da Dante come esempio di principe giusto e virtuoso. Anche la presenza di Maometto all'inferno, che tante e aspre polemiche e contrasti ha causato negli ultimi anni, va letta piuttosto come la mancanza di strumenti, da parte di Dante e della stragrande maggioranza dei suoi contemporanei, per comprendere la portata di quello che stava avvenendo nel mondo in seguito alla predicazione del profeta dell'Islam, tanto che Muhammad viene considerato un eresiarca, cioè come uno che si era esclusivamente allontanato dall'ortodossia cattolica, senza riuscire a capire il vero peso che stava assumendo la nuova religione che avrebbe, nei secoli successivi, contato miliardi di fedeli dal Marocco all'Indonesia.

Massimiliano Palmesano 

Note

1) Da "Il nobile Corano e la traduzione dei suoi significati in lingua italiana", Dar-ElFatwa, Beirut, Libano

2) Paolo Branca, "Maometto. La rivelazione del Corano e la nascita dell'Islam", Seminario per il Centro Studi Religiosi, 2019

3) Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, "Dictionnaire des symboles: Mythes, rêves, coutumes, gestes, formes, figures, couleurs, nombres" Parigi, Robert Laffont, 1969, p. 179,

4) "Qasida Bourakia", poesia dello sceicco marocchino Benmeki ibn Azemour da "Un pégase entre mythologie et Islam", paperblog.fr

5) Maria Soresina, "Dante e l'Islam" in Dialoghi Mediterranei, n* 2, giugno 2013

Bibliografia

1) Enrico Cerulli, "Il Libro della Scala e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia", Roma, Città del Vaticano, 1949

2) Miguel Asin Palacios, "Dante e l'Islam. L'escatologia islamica nella Divina Commedia", Parma, Nuove Pratiche Editrice, 1994

3) Longoni A., "Il libro della scala di Maometto", Bur, Milano 2013

4) Angelo Scarabel, "Il sufismo. Storia e dottrina", Carocci, Roma, 2007

5) "Il nobile Corano e la traduzione dei suoi significati in lingua italiana", redazione a cura di Dar-ElFatwa, Beirut, Libano

6) Richard McGregor, "Sanctity and mystcism in medieval Egypt. The Wafa sufi order and the Legacy of Ibn Arabi", State University of New York press, New York, 2004


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