La Malombra e il mistero degli scomparsi sul Monte Maggiore [seconda parte]

08.08.2020

Qualcosa di oscuro avvolge le cime rocciose dei monti Trebulani in provincia di Caserta, dal 1998 al 2002 nei boschi e tra i vicoli dei borghi sono scomparse nel nulla cinque persone senza lasciare alcuna traccia. Sono state formulate diverse ipotesi, dai rapimenti alle oscure trame di una setta satanica, ma le misteriose scomparse sono rimaste avvolte dal buio più assoluto. Dopo la prima parte proponiamo un'analisi di alcune credenze tradizionali.

In soli due anni, e cioè dal 1998 al 1999, sul Monte Maggiore, Caserta, sono scomparsi quattro anziani, tre dei quali durante il solo 1999. Poi i casi si sono interrotti all'improvviso e la calma che contraddistingue i Trebulani sembrava essere ritornata quella di sempre. Almeno fino al 29 novembre 2002, data in cui si verifica una nuova scomparsa, è la volta del 65enne Antonio Isolda, anche lui come svanito nel nulla, vengono rinvenuti alcuni suoi abiti, disseminati in luoghi diversi, tra cui il pantalone con alcuni scontrini e un pacchetto di sigarette in località Fratte, lo stesso luogo dove erano state ritrovate anche le ossa di Maria Cirillo, la prima degli anziani scomparsi. Antonio Isolda è l'ultimo della serie, dal suo caso in poi non si sono verificati più fatti simili, ma le inspiegabili storie di questi cinque anziani hanno alimentato paura e voci, a volte anche molto fantasiose.

Si è ad esempio parlato di un furgone bianco visto aggirarsi tra i centri della zona negli stessi periodi delle scomparse o, suggestione sulla quale sono state costruite numerose ipotesi, di una setta che avrebbe celebrato riti con sacrifici umani tra i boschi dei Trebulani, in effetti pare che sulla cima del Monte Demonio, una delle più alte della catena del Maggiore, furono trovati i resti di quello che sembrava un altare con nei pressi alcune teste di bambole bruciate conficcate in delle croci di ferro, qualcuno addirittura aveva raccontato di aver assistito al sacrificio di un cane nei boschi, ma è risaputo che spesso la fantasia popolare ingrandisce gli eventi o, sotto la spinta di paura e suggestione, inventa storie del tutto di fantasia. In ogni caso nessuna delle piste individuate ha mai aperto qualche spiraglio di luce nel buio che avvolge le cinque scomparse, il tutto è cessato come era iniziato e per circa 20 anni è stato il silenzio.

Porta di Trebula
Porta di Trebula

Una nuova pista

Ironia della sorte proprio la storia dell'ultimo degli scomparsi, Antonio Isolda, ha fatto riaprire il caso ad anni di distanza, a fine 2019 infatti una lettera anonima viene recapitata al Comando dei carabinieri di Capua all'interno della quale si parla delle scomparse, dei riti satanici, ma soprattutto si incolpa Armando Isolda per la morte del cugino Antonio. La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha quindi riaperto il caso e iscritto l'uomo nel registro degli indagati. Armando Isolda, oggi 88enne e ospite presso una casa di riposo per anziani, secondo la Procura sarebbe responsabile dell'omicidio e della soppressione del cadavere del cugino, pare per motivi legati a questioni economiche. Contestualmente alla riapertura delle indagini, gli inquirenti hanno predisposto degli scavi nei pressi di una cisterna della zona in cui, sempre secondo la lettera anonima, sarebbe stato occultato il cadavere di Antonio Isolda, le operazioni però pare si siano concluse con un nulla di fatto depotenziando le accuse contenute nella lettera. Ma la tesi della missiva è contestata anche da Mauro Iodice, avvocato di Armando Isolda, che intervistato nel corso di una nota trasmissione Rai nei primi mesi del 2020, ha dichiarato di essere in possesso di prove inequivocabili, forse delle foto, che il suo assistito il giorno della scomparsa del cugino si trovava in Svizzera per una cerimonia. Sempre durante questa nuova fase di indagini è stata predisposta la riesumazione dei resti di Maria Cirillo, ma a quanto pare nemmeno questo ulteriore tentativo ha prodotto dei risultati, le scomparse del Monte Maggiore continuano a restare un mistero.

Una montagna sacra: riti e leggende millenarie

Il massiccio del Monte Maggiore è un luogo strano, nonostante sia collocato all'interno della pianura campana in un'area fortemente antropizzata, ha conservato un fascino selvaggio e misterioso, i suoi boschi sono poco frequentati e i suoi sentieri vedono affluire gente quasi solo nei giorni dei pellegrinaggi agli eremi di San Salvatore, della Madonna di Fradejanne o alla grotta di San Michele che avvengono a maggio e settembre. Durante tutto l'anno un popolo della montagna fatto di boscaioli, escursionisti, pastori, fungaioli e sportivi frequenta i boschi, ma si tratta di pochissime persone, in realtà tutta l'area è poco frequentata e soprattutto il versante che è rivolto verso l'interno, quello delle scomparse, è ricoperto di boschi fittissimi e costellato di gole a strapiombo. I Trebulani da millenni custodiscono luoghi misteriosi dove gli esseri umani hanno la possibilità di entrare in contatto con le divinità, secondo l'archeologo Amedeo Maiuri, un vero e proprio Indiana Jones che nella prima metà del '900 condusse importantissime ricerche sull'antica Campania, il termine Trebulani è nato di recente per indicare l'area montuosa che cinge il territorio dell'antica città-fortezza sannita di Trebula, e l'oronimo Monte Maggiore una storpiatura, forse introdotta da copisti distratti durante la trascrizione di documenti, del nome originario che era Monte Majulo ovvero monte del maggio o meglio dei riti del maggio legati alla fertilità che venivano celebrati anticamente, la cui eco degradata rivive nei pellegrinaggi agli eremi che avvengono ancora oggi nello stesso mese.

Culti millenari che risalgono ai tempi in cui le vette del Majulo erano il confine naturale, e forse luogo di fitti scambi economici e culturali, tra il territorio dei pastori-guerrieri sanniti il cui baluardo era rappresentato da Trebula e la composita congerie di tribù e popolazioni, di lingua osca al pari dei sanniti, che abitavano il versante che si affaccia sulla costa quali i caleni di Cales, i sidici di Teanum e gli aurunci di Suessa. La sacralità della montagna per l'insieme delle popolazioni che abitavano lungo il suo perimetro e nelle sue valli è testimoniata dalla sopravvivenza di luoghi di culto, evidenze archeologiche, leggende e racconti che compongono un vastissimo corpus di testimonianze relative al rapporto magico e religioso tra territorio e abitanti, rapporto che è sopravvissuto all'avvento del cristianesimo grazie a forme di sincretismo che sono nate tra i vecchi culti e la nuova religione, tra l'altro conservando alcune prerogative tipiche della religiosità antica: i due santuari del Monte Maggiore sono dedicati rispettivamente uno a una figura femminile e materna (la Madonna di Fradejanne), l'altro a una figura maschile legata alla rigenerazione (San Salvatore, ovvero il Cristo che ciclicamente muore e risorge), caratteristica molto diffusa fin dall'antichità, ad esempio come sul vicino monte Tifata dove insieme al famigerato tempio dedicato a Diana Tifatina vi era quello eretto in onore di Giove Tifatino, collocato probabilmente nel territorio di Casagiove.

Ma oltre a questo elemento sul Monte Maggiore sopravvivono luoghi dai nomi misteriosi ed evocativi come Giano, Bellona, Profeti, Monte Demonio, leggende che narrano di grotte abitate da draghi al cui interno pietre magiche e acqua di stillicidio hanno il potere di guarire e donare la fertilità, luogo nascosti nei boschi dove le janare si incontravano per celebrare i loro oscuri riti, folletti dispettosi e spiriti dei boschi. Nella selva spuntano antiche ed enormi cinta murarie che secondo la tradizione popolare sono state costruite dalle fate, città-fortezza come Trebula con la sua porta che ricorda la porta dei Leoni a Micene, templi silvani per il culto delle acque e si tramanda il ricordo di un tempio, quello di Giano, di cui si ha notizia in alcuni documenti medievali ma che giace ancora nascosto da qualche parte nel fitto della boscaglia o sulla cima glabra e tagliata dal vento delle colline.

Il Majulo da secoli è verosimilmente teatro di eventi misteriosi e magici sicuramente più reali e credibili delle fantomatiche sette di cui si è parlato ai tempi delle scomparse, sette che quantomeno sarebbero un po' sui generis in quanto, piuttosto che concentrare le loro attenzioni su giovani vittime, come si può presumere dando uno sguardo alla corposa letteratura in merito e a numerosi fatti di cronaca, rapiscono ed uccidono inermi vecchietti.

Ingresso della Grotta di san Michele a Profeti
Ingresso della Grotta di san Michele a Profeti

E se fosse stata la Malombra?

In questo vasto patrimonio di racconti e leggende si colloca un elemento che è stranamente interessante se relazionato alle scomparse e cioè quello relativo a quella che viene chiamata la Malombra.

Di questa entità che popola il folklore trebulano si sa ben poco, non si tratta di un essere antropomorfo o di un folletto, piuttosto la Malombra è un oscuro spirito del bosco impalpabile e invisibile, il cui ricordo è vivo, guarda caso, proprio nell'area circoscritta in cui sono avvenute le scomparse. In particolare pare che la Malombra sia solita rapire e far perdere nei boschi quanti si avventurano da soli verso la grotta di San Michele sul monte Melanico a Profeti. E' ancora viva l'usanza di osservare quello che sembra avere le radici in un vero e proprio tabù rituale e cioè il divieto di lasciare il sentiero che raggiunge la grotta pena l'essere rapito dalla Malombra e il perdersi nei boschi per ore e ore.

I racconti intorno a questa strana entità parlano di una coltre di fumo nero e sottilissimo che dal suolo striscia lungo le gambe della sua vittima fino ad avvolgerla completamente, chi viene preso dalla Malombra inizia ad avere la vista offuscata e a perdere le forze, quindi sembra entrare in uno stato di non coscienza che lo induce a vagare senza meta per i boschi, solo dopo ore la Malombra lascia alla sua preda la possibilità di ritrovare la strada. Fin qui il racconto popolare che presenta la Malombra come uno spirito che in qualche modo 'punisce' chi non rispetta il tracciato sacro che conduce fino alla grotta.

Alla base di questo topos leggendario e magico è possibile però che si celino fenomeni naturali che gli antichi abitanti di queste montagne non riuscivano a spiegare e per questo ne ascrissero le cause al campo dell'ignoto e del soprannaturale, le tracce di questo fenomeno sono molteplici ma è necessario esaminare il contesto in una prospettiva più ampia. Per una particolarissima conformazione geologica tutta l'area che dal massiccio di Roccamonfina arriva al Tifata, dalle montagne fino alla costa, poggia su di una base formatasi in seguito a eventi vulcanici di migliaia di anni fa, questa base ha una composizione minerale che influisce su due fenomeni in particolare: le acque e le emissioni di gas dal sottosuolo.

Mammella litica la cui acqua di stillicidio ha poteri curativi - Grotta di S. Michele
Mammella litica la cui acqua di stillicidio ha poteri curativi - Grotta di S. Michele

Tutta l'area è caratterizzata fin dai tempi antichi da fonti termali come quelle di Suio, Sinuessa, Cales, Teano, Triflisco, e da sorgenti minerali che ancora oggi sono rinomate, come la leggendaria acqua Calena citata da Vitruvio e Plinio il Giovane che oltre ad avere poteri curativi pare che inebriasse. Alle acque minerali e termali vanno aggiunti quei fenomeni più propriamente vulcanici come le emissioni di gas dal sottosuolo di cui si trova traccia non solo nell'area del massiccio vulcanico di Roccamonfina, ma anche in altri luoghi come ad esempio proprio nella zona delle scomparse dove un cunicolo chiamato Sciusciaturo (soffiatoio) emette continuamente aria dal sottosuolo. Questi fenomeni fin dall'antichità hanno affascinato e suggestionato gli esseri umani che li hanno collocati all'interno della sfera del sacro, non è un caso che le porte dell'inferno per gli antichi si trovassero nei pressi del lago di Averno, nei Campi Flegrei. Acque inebriati e gas naturali hanno rappresentato per molte culture anche potentissimi mezzi di estasi utilizzati a scopo rituale per raggiungere la trance e quindi la connessione con gli spiriti e le divinità, ci sono esempi molto noti in tutta la cultura antica mediterranea come la leggendaria sacerdotessa del tempio di Apollo a Delfi in Grecia, la Pizia ovvero la donna serpente dal greco pythos, che attraverso l'Omphalos che era considerato l'ombelico del mondo aspirava "dolci vapori" dal sottosuolo come ricorda Plutarco, questi vapori inducevano uno stato di esaltazione e trance attraverso il quale la donna serpente entrava in contatto con il dio che le dava il potere di emettere complicati vaticini che poi sarebbero stati decifrati dai sacerdoti. Molto probabilmente lo stesso meccanismo utilizzato dalla Sibilla con i vapori flegrei all'interno dell'antro di Cuma, o quello citato in alcune fonti per le sacerdotesse del tempio di Diana sul Tifana, molto probabilmente anche il "profeti" che da il nome della frazione dove sorge la grotta allude a figure capaci di profetizzare utilizzando le emissioni dal sottosuolo, le stesse che forse in epoca medievale diedero anche origine alle leggende sul drago che l'avrebbe abitata, in ogni caso la montagna da sempre viene considerata un luogo oscuro e le tracce restano anche nel nome, Melanico molto probabilmente deriva dal greco melanos che significa nero e cioè oscuro, come i suoi fitti boschi.

Sempre a inizio 2020, nel pieno dell'attenzione per la riapertura delle indagini, sui Trebulani ritorna l'incubo delle scomparse. Viene infatti annunciata una nuova scomparsa, sempre nella stessa zona, sempre di una persona anziana, un uomo che era uscito per una passeggiata. Rispetto a 20 anni fa l'allarme ha subito fatto il giro dei social, la notizia si è diffusa immediatamente e dopo pochissime ore l'uomo è stato ritrovato, in stato confusionale, ma in buone condizioni di salute. In stato confusionale.

Forse la chiave di lettura delle scomparse sta proprio in questo ultimo episodio, molto probabilmente la Malombra altro non è che il frutto di sporadiche emissioni di gas dal sottosuolo che indurrebbero in chi le respira uno stato di confusione e di spaesamento, forse proprio per questo vige il divieto di non abbandonare il sentiero, probabilmente il fenomeno deve avere una certa diffusione ma è molto raro che qualcuno si trovi nei paraggi proprio nel momento in cui esse avvengono. Se oltre a questo si considera che nel caso vengano coinvolte persone anziane è molto più facile che queste non siano fisicamente all'altezza di controllare i movimenti e che siano molto più sensibili all'effetto delle emissioni, fattore che aumenterebbe il rischio di incidenti data la conformazione della montagna fatta di ripide pareti e profonde gole, al resto penserebbero gli animali selvatici come volpi e cinghiali, numerosissimi in zona.

Amedeo Maiuri
Amedeo Maiuri

Resta un'ipotesi e in quanto tale costruita grazie all'esercizio dell'immaginazione, ma una immaginazione che si lascia suggestionare da alcuni elementi che sono profondamente inseriti nella cultura tradizionale dell'area interessata e che quindi in qualche modo attingono a una remota realtà, un'ipotesi che non pretende di fornire spunti di indagine, ma che intende indagare nel profondo della stratificazione culturale di queste terre, una stratificazione che porta a galla lo spirito autentico delle società tradizionali, lontano anni luce da sette e rapimenti, e imperniato sui valori della fertilità, della rigenerazione e della guarigione. Alle scomparse sul Monte Maggiore forse non verrà mai trovata una soluzione, ma conoscere le tradizioni di quei luoghi può forse servire ad amarli e a conservarne il ricordo.

Massimiliano Palmesano

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